Pietro Barb correttodocxhttp://Il Pavimento di San Marco a Venezia (intervista di P. Barbini a R. Paier)

  1. Dott. Paier, com’è nata l’idea di scrivere un libro sul pavimento della Basilica di San Marco?

P. : Direi che tutto è cominciato con il mio lavoro di guida turistica della città di Venezia nel 1982. Furono le domande dei miei clienti francesi, tedeschi e di lingua inglese a costringermi a guardare con un occhio diverso tutto quello che mi circondava; per loro era tutto fantastico, per me, nato a Venezia, era tutto “normale”. L’oggetto delle domande, non era limitato alla sfera storico-artistica, anzi, si estendeva in vari campi, sconfinando, soprattutto, nella sfera dei simboli, ma la preparazione acquisita per affrontare l’esame per l’abilitazione a svolgere la mia professione, aveva trascurato completamente questo aspetto. Il pavimento, con le sue affascinanti geometrie multicolori era sicuramente la cosa che li stimolava di più, ma non avevo risposte… Quello fu l’inizio della mia ricerca.

  1. Lei, in sostanza, è riuscito ad individuare, non solo una concreta relazione tra le figure geometriche del pavimento e i mosaici superiori, ma un vero e proprio itinerario di iniziazione cristiana. C’è, però, chi continua a guardare con sospetto il suo lavoro….

P. : Chi mi accusa di aver un po’ troppo ecceduto in fantasia non si rende conto che, in realtà, è impossibile che io sia riuscito a collegare, sia orizzontalmente che verticalmente, ben tredici brani pavimentali che raccontano la storia della salvezza, senza che ciò sia stato concepito in precedenza da una mente superiore alla norma. Il problema è che il filo logico non va ricercato sopra, nel susseguirsi interrotto e apparentemente casuale degli episodi delle cupole e degli arconi, come è stato fatto prima del mio studio. Bisogna cercare sotto, seguendo i temi dei mosaici pavimentali, allora tutto assume un significato logico. Questo è il mio merito: ho trovato il sottile filo che lega i mosaici parietali con quelli pavimentali e i vari sectili tra loro, ma per capirlo, bisogna leggere il libro, cosa che solo in pochi hanno fatto.

  1. Sinceramente, non ha mai avuto dubbi sul suo operato? Non ha mai pensato che fosse tutto frutto della sua fantasia?

P. : Direi che questo fu il mio cruccio più grande. Grazie al cielo, furono le persone che contattai a confermare che questo patrimonio dottrinario che venivo scoprendo, era in perfetta sintonia con l’insegnamento della Chiesa, ma poi, nel corso dei secoli, per una serie di motivi fu trascurato e lentamente entrò nell’oblio. Tra queste persone devo annoverare, per primo, il Prof. Gianfranco Ferrarese, allora docente di Storia della Chiesa presso l’Università di Venezia, che mi spronò a continuare, ma non posso dimenticare decine di docenti di Teologia, Liturgia e Patrologia che in tanti anni ho avuto il piacere di guidare personalmente in Cattedrale, ivi compresi alcuni vescovi e perfino due cardinali. Nemmeno uno mi disse che eccedevo in fantasia, anzi, mi convinsero a tal punto a divulgare i risultati delle mie ricerche che, non avendo trovato alcuno sponsor a Venezia, decisi di pubblicarle a mie spese.

  1. Nella Basilica marciana sono presenti simbologie e figure, come quella del “rinoceronte”, ad esempio, non prettamente cristiane. Per quale motivo?

P. : Certamente il caso del rinoceronte-unicorno è paradigmatico: è uno degli esseri fantastici più diffusi nel mondo antico, sia orientale che occidentale. Ne parla già Ctesia, spintosi verso Oriente alla corte di Dario II re di Persia, all’inizio del IV secolo, se ne occuparono perfino Aristotele nella sua De Historia Animalium, poi Eliano, Plinio il Giovane il quale ebbe grande influenza su Solino, Apollonio di Tiana, Oppiano e Giulio Cesare. Nel Medio Evo si occupò di questa bestia un teologo della levatura di Isidoro di Siviglia, poi Onorio di Autun che ne mise in luce, con insistenza, il carattere simbolico. Esso è, secondo quanto affermano i Padri della Chiesa, figura, mera imago di colui che doveva venire, cioè Cristo, il Re, il Capo al quale ricondurre tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. In Lui, nato prima di ogni creatura tutte le cose trovano il loro significato, la loro consistenza (Col 1,15); tutto converge in Lui. Egli è l’Alfa e l’Omega, Colui il quale inserisce la salvezza nella storia di ogni uomo. Questo era il mysterium absconditum, che nessuno avrebbe potuto capire se non fosse stato rivelato in Cristo, dallo Spirito Santo. Ma attenzione! La proclamazione del mistero non è esoterica: è per tutti gli uomini, solo che alcuni la accolgono, altri la rifiutano. Questo è anche lo scopo del simbolo e della parabola: essi svelano quello che c’è nel cuore dell’uomo, più l’uomo aderisce al mistero rivelato, più la loro comprensione sarà chiara; viceversa, chi il mistero lo rifiuta, vedrà il suo accesso ai simboli e alle parabole sempre più interdetto.

  1. D’accordo, ma come giustificare la presenza di simbologie decisamente pagane come quella dei due Grifoni posti all’entrata della “Cappella Zen”, o dei quattro cavalli in bronzo, simboleggianti la quadriga di Helios, sopra l’entrata principale?

P. : Il mostro che impedisce all’uomo di accostarsi all’albero della vita, alla fontana della gioventù o al Paradiso, si trova in tutte le tradizioni, sia all’interno che al di fuori della Rivelazione. Pensi ad Ercole che per impossessarsi delle mele d’oro delle Esperidi deve vincere il mostro che le custodisce, a Giasone che per impadronirsi del vello d’oro deve combattere contro il dragone. Pensi all’Eden con il suo albero sul quale c’è un serpente che impedisce all’uomo di accostarvisi o lo fa dopo averlo indotto al peccato. Per arrivare alla meta occorre combattere duramente, bisogna lottare contro le forze del male. L’arte sacra è sempre ricca di geni, mostri, animali enigmatici, dragoni, grifoni e sul cammino che lo porta verso l’agognata meta ogni uomo incontrerà una bestia pronta a divorarlo. Vincerla significa aver trovato un passaggio attraverso la morte. Il Cristianesimo usa gli stessi simboli, ma conosce un solo eroe, un solo vincitore: Cristo, che sconfitto il male e la morte, ha riaperto all’uomo la via della fontana della gioventù e dell’albero della vita. La stessa cosa si può dire per la quadriga: in tutte le religioni del mondo antico si fa riferimento ad un carro che procede con grande frastuono e ad un conduttore potente che lo guida attraverso il cielo. Ma questo simbolo non è solo pagano, si trova anche nel libro dei Re (2 Re 2,11). A San Marco la quadriga è posta sopra l’ingresso principale, sul cui catino compare Cristo in gloria. Viene così a sovrapporsi il carro di Elios con l’immagine del vero ed unico Sol invictus dei Cristiani, cosa che ne esprime così il significato ultimo: il vero Dio è il Cristo, gli altri che furono prima di Lui ritenuti tali, non furono altro che mere ombre della sua magnificenza.

  1. Se ho capito bene, lei sostiene che gli stessi simboli utilizzati originariamente dalle antiche religioni pagane, vennero ripresi dal cristianesimo, reinterpretati alla luce del Vangelo, e inseriti all’interno di veri e propri percorsi misterico-iniziatici?

Come si diceva prima a proposito dei simboli, anche il percorso misterico-iniziatico, come lo ha definito lei, non è stato inventato dal Cristianesimo, ma ha dei precedenti famosi: lo si ritrova allo stato di natura nei corridoi d’accesso ad alcune grotte preistoriche, era conosciuto in Egitto, danzato in diverse regioni dalla Grecia alla Cina, dove danze labirintiche sono danze di uccelli (la danza di Teseo, chiamata danza delle gru, è evidentemente in rapporto con un cammino esoterico di tipo labirintico), Virgilio assicura che è disegnato sulla porta dell’antro della Sibilla Cumana, è inciso sulle lastre e sui pavimenti delle cattedrali dove viene chiamato il labirinto di Salomone, o come nel caso famosissimo di Chartres diventa, nel periodo delle Crociate, il sostituto di pellegrinaggi in Terra Santa. L’iniziato, attraverso le prove dell’iniziazione, che sono i circuiti del labirinto, deve arrivare al centro per accedere alla rivelazione misteriosa o per trovare la scala che porta ad un livello più alto… A San Marco, che presenta una pianta centrale cosa significhi questa elevazione-ascesi è fin troppo evidente: tutto conduce a Cristo in gloria, nel Paradiso.

  1. A proposito di Chartres, visto che l’ha citata, sembra che lei abbia rinvenuto qualcosa di analogo nel pavimento della Basilica marciana?

Si, seguendo la logica di contenuti dei pavimenti precedenti, sono arrivato alla conclusione che le strane figure geometriche che compaiono sul pavimento sottostante alla cupola di San Leonardo (cap. 7), rappresentino luoghi caratteristici della città di Gerusalemme, espressi in forme geometriche per poter essere calpestati. Poiché a causa delle Crociate non era più possibile recarsi in Terra Santa, a Chartres come a Venezia, si compivano i pellegrinaggi in loco. Ma essendo luoghi santi, era necessario crittografarli, cioè renderli riconoscibili solo agli iniziati, attraverso dei particolari assolutamente insignificanti per gli altri, ma non per gli adepti, che così identificavano univocamente i singoli topoi, per compiere i riti previsti per ogni singolo luogo, evitando di compiere un vero e proprio sacrilegio.

  1. La particolarità della Basilica veneziana, secondo la sua sintesi, risiederebbe nella persistenza, all’interno della stessa, degli stessi temi esposti nella facciata principale. Questa relazione “esterno-interno”, però, non è cosa del tutto nuova?

La proprietà di una facciata di porsi in relazione dialettica con il suo interno è già stata proposta da G. C. Argan per due chiese romaniche coeve alla cattedrale marciana: il Duomo di Modena (1099- 1106) e San Miniato al Monte di Firenze (XI–XII sec.). Nel primo caso l’eminente studioso afferma che: “Lanfranco riporta in facciata la sezione dell’interno, segnando con alti contrafforti le larghezze delle navate” intendendo che il modulo architettonico individuato all’interno della chiesa è già annunciato all’esterno. Nel secondo caso, lo stesso autore afferma che: “la facciata riquadra, geometrizza, risolve in una teorematica relazione di verticali e orizzontali la tipica <facciata a capanna> espressiva della forma interna”. Questa felicissima intuizione di un grande studioso d’arte del XX sec. è clamorosamente confermata sulla facciata del tempio lagunare, in quanto su di essa appare non un modulo architettonico interno, come nel tempio modenese, o una generica descrizione dell’interno, come nel caso fiorentino, bensì la stessa pianta del tempio, ovvero, croce greca con cinque cupole e, contemporaneamente, la sezione verticale della chiesa, ovvero, cinque navate con, nel mezzo, i matronei a dividere la parte superiore da quella inferiore.

  1. Nel registro superiore della facciata principale è rappresentata la vicenda di Cristo, seguendo la classica narrazione che va da sx a dx; curiosamente, invece, nel registro inferiore viene raccontata la vicenda di San Marco, secondo una narrazione che va da dx a sx. Quale significato si cela dietro a questa scelta singolare?

Secondo il mio modesto parere, l’iconografo marciano ha inteso collegare l’opera svolta da San Marco, a quella svolta da Cristo, e quindi, se la vicenda terrena di Cristo, iniziata a sinistra, nell’ordine superiore, con la Deposizione dalla Croce, che è figura della sua Incarnazione, termina con la sua uscita di scena da questo mondo, in alto a destra, con l’Ascensione al cielo, sotto, iniziando da destra, si è voluta inserire la vicenda umana di San Marco post mortem, per evidenziarne il subentro, quasi un passaggio di testimone tra Cristo e il santo protettore della città, confermando, tra l’altro, la profezia fattagli da un angelo in sogno, dopo un naufragio in laguna, rappresentata dal gruppo scultoreo rilevabile sull’architrave della Porta centrale dell’atrio occidentale.

  1. Mi sembra di capire che tutto, in questa Basilica, sia stato pensato secondo significativi criteri che non lasciano nulla al caso. Qual è il senso di tutto questo?

Secondo me il messaggio è molto semplice: la salvezza portata da Cristo a tutti gli uomini è arrivata anche in laguna (nella seconda lunetta inferiore, infatti, viene rappresentato l’arrivo delle spoglie del santo apostolo in terra lagunare, che rappresenta, concretamente, la nascita della Chiesa veneziana). E’ questo il senso del subentro di Marco all’uscita di scena di Cristo, del quale si parlava prima. Ma tutti i Cristiani, all’uscita di scena del loro Signore da questo mondo, sentono l’urgenza di portare i benefici effetti della sua Salvezza a tutti gli uomini! (Karitas Christi urget nos). Non si dimentichi che il sogno di Marco, la scultura presente sull’architrave del Portale centrale della facciata occidentale richiama inequivocabilmente un altro sogno: quello di Giacobbe a Carran, che poi fu chiamato Bet El, (casa di Dio). In quel luogo il Patriarca ebreo vide una scala con Angeli che salivano e scendevano, su di essa, e a Venezia, sulla verticale della scultura appena menzionata, ai lati dell’arcone centrale dell’ordine superiore, compaiono, tra racemi, angeli con turiboli che salgono verso la statua di San Marco. Il messaggio è significativo: il tempio lagunare è Bet El, la casa di Dio, il luogo dove si può avere un’incontro personale con il proprio creatore, e non occorre andare lontano, perché il santo patrono questa salvezza l’ha portata a Venezia ed è lì, nel tempio marciano, a portata di tutti.

  1. Un’ultima domanda. Quanto ha inciso la sua fede alla realizzazione di questo libro? Concretamente, che senso ha avuto, ed ha, nella sua vita?

P. : Nel 1978 incontrai il Cammino Neo-catecumenale e con esso Gesù Cristo. Da quel momento la mia vita cambiò radicalmente: passai da una vita in bianco e nero, senza sapori né profumi, ad una vita a colori, sapida e fragrante. Se ciò non fosse accaduto non mi sarei sposato, non mi sarei laureato in Storia dell’Arte, non avrei avuto ben 6 figli e non avrei certamente scritto il libro sui pavimenti della Cattedrale di Venezia. Fu in particolare, l’intimità con la Parola di Dio, che affinò la mia sensibilità ai temi, e mi dette lumi sulle complesse relazioni, sia verticali che orizzontali, che furono concepite in questo splendido edificio per emozionare, sorprendere e portare la gioia nel cuore di ogni uomo che abbia la fortuna di visitarlo. Scrivere questo libro non è stato semplice: ho passato notti insonni sempre con il rovello assiduo e macerante delle geometrie che non mi davano tregua, sempre cercando le soluzioni possibili, i nessi, i perché di alcune scelte, con il dubbio costante di essermi inventato tutto, e la derisione di taluni. Un vero tormento. Ma quando rileggevo quanto scrivevo, sentivo sempre il profumo di Cristo che mi accompagnava con sicurezza, mi forniva le risposte e soprattutto mi faceva sentire che era tutto vero, tutto aveva un senso, era tutto logico, perché tutto nella Cattedrale marciana, i pavimenti, i mosaici, l’oro, le pietre preziose, le icone, tutto parla di Lui, della sua bellezza, del suo amore. Credo che questa mia ricerca non finirà, perché se finisse sarebbe come se Lui non avesse più niente da dirmi, ma questo, ne sono convinto, non succederà mai, perché so di aver trovato un amico, un compagno di viaggio, e un vero amico non ti molla mai, anzi, ti cerca, ti soccorre, puoi sempre contare su di lui.